Giacomo Colombo - Busto ligneo di San Martino di Tours |
MACERATA CAMPANIA La statuaria lignea, molto più economica di quella in marmo, dovette avere una notevole diffusione in età moderna. Nel Regno di Napoli chiese e conventi si rivolgevano, dalle province alla capitale, alle migliori botteghe per avere pur sempre prodotti di qualità anche se realizzati nel materiale più modesto. I risultati delle ricerche e il ritrovamento di opere lignee d’interesse notevole e talvolta eccezionale anche in Campania hanno consentito il superamento della diffusa prevenzione circa una scultura lignea a sé stante, quasi popolaresca parafrasi o rustico sottoprodotto della scultura in marmo o in bronzo, nonché il superamento della convinzione che tale genere rimanesse tipico, e magari esclusivo, di altre regioni. Questi cimeli artistici presentavano comunque un pessimo stato di conservazione: deturpati i caratteri originali e spesso cancellati da stratificazioni di sudicio o da volgari ridipinture, ripetute in qualche caso fino a cinque o sei volte; modificati anche radicalmente negli aspetti formali e figurativi per adattarli a mutate esigenze di culto; e per queste stesse esigenze, occultate le autentiche sculture sotto goffi vestimenti di stoffa, sotto mitre e parrucche, corazzature d’argento, ex – voto di ogni sorta. In quasi tutti i casi è stato necessario rimuovere spessi e ripetuti strati di colore per ritrovare e rimettere in luce la policromia originale; ed è noto quanta importanza assuma, nella scultura lignea, il rivestimento cromatico che è parte integrante ed inseparabile del risultato estetico perseguito dall’artefice. Il biografo De Dominici (“Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani”, Napoli 1742) dice, di Giacomo Colombo, che si era “acquistata l’amicizia del celebre Francesco Solimena” (1657 – 1747, pittore. A Napoli si trasferì nel 1674, divenendo poi il massimo decoratore della Napoli settecentesca) e quindi automaticamente si era inserito nel giro di una delle più gettonate botteghe napoletane. Ma Colombo assurgerà ad una propria autonomia operativa e ad una sua giusta fama. Basti ricordare l’episodio dei deputati del Tesoro di S. Gennaro che, in data 8 novembre 1707, raccomandavano all’argentiere Domenico D’Angelo di indirizzarsi, per un modello per la statua da eseguire della SS.ma Concezione, indifferentemente “o dal Sig. Abbate Francesco Solimena o Giacomo Colombo”. La bottega del Colombo, in concorrenza con quella di Nicola Fumo, operosi più o meno negli stessi anni (dal 1661 al 1723 il Fumo, dal 1688 al 1731 il Colombo), si contenderà le commissioni di molte opere in varie province del Regno. Colombo nacque ad Este (Padova) nel 1663 e nel 1678 giunse a Napoli. La formazione artistica del Colombo, che il De Dominici asserisce essere stato allievo di Domenico Di Nardo, attende ancora una chiara definizione. Essa si inserisce, comunque, nel contesto della tradizione della scultura lignea barocca, fortemente influenzata in quegli anni, a Napoli, dagli esempi i berici, densi di una drammatica comunicatività. Ma se Di Nardo fu il maestro “ufficiale” di G. Colombo, indubbiamente notevole fu su di lui l’influenza di Nicola Fumo, già affermato artista della Napoli di fine secolo; così che i due rimangono gli artisti più noti in ambito napoletano, e non solo, tra fine Seicento inizio Settecento. Non solo in ambito napoletano perché, soprattutto per il Colombo, è massiccia la presenza di opere anche in Puglia e nel Molise. La committenza era la più varia: dalle cattedrali alle chiese madri nonché a quelle dei vari ordini, francescani, domenicani, ma costante era la richiesta di opere a questo artista che molto rispondeva al gusto e alle esigenze devozionali dell’epoca. Tra il 1698 ed il 1701 si colloca l’opera in legno più monumentale dello scultore: il gruppo della PIETA’ nella Collegiata di Eboli. Il Colombo descrive il momento in cui Cristo, schiodato dalla croce, è contemplato per l’ultima volta dalla madre prima di essere riposto nel sepolcro. La maschera di dolore della Vergine è tradotta in altissimo stile. Tra il 1703 ed il 1704 realizzò invece in marmo i monumenti funebri dei Principi di Piombino, di Anna Maria Arduino e di suo figlio Niccolò Ludovisi, nella chiesa di S. Diego all’Ospedaletto a Napoli. Il disegno era del Solimena, ma appare chiaro che i committenti si affidarono al pittore per una buona impaginazione dei sepolcri, però per quanto riguarda la forza plastica e la tecnica decisamente notevole, e raffinatissima, specialmente nel ritratto di Anna Maria Arduino e nella grazia “paffuta” dei bellissimi puttini disposti sui sepolcri, sono da ritenersi opere autonome dello scultore. Nel 1706 Colombo eseguì un S. Andrea per la Parrocchiale di Gricignano di Aversa e alla stessa data è possibile far risalire la scultura raffigurante S. Martino conservata nella chiesa di Macerata Campania.
In quegli anni il grosso avvenimento dell’affermazione del presepe a figure mobili trovò in Colombo un artista che non si limita ad attingere alla tradizione degli scultori che lo avevano preceduto, ma un interprete che creava una serie di personaggi ritratti da quelli che osservava quotidianamente. Il presepe nella scultura napoletana del Settecento è argomento di massimo valore. Allestito su fondali paesistici e animato da figure modellate in terracotta o intagliate in legno, vestite di vera stoffa, figure comprendenti i gruppi della Natività, gli angeli e gli astanti di ogni età, colti nelle più diverse faccende ed espressioni, il presepe napoletano è un fenomeno artistico originalissimo, e , rispetto a quelli prodotti in altre regioni, risulta assai più teatrale e com plesso. I Borbone lo diffusero e arricchirono dedicando una cura particolare alla scelta dei pezzi e alla loro disposizione. L’insieme era spettacolare, nelle scene sacre di base e nei molti episodi, graduati e connessi tra di loro, le une e gli altri in parte cavati con vena assai libera da esempi pittorici. Alcune zone risultavano idealizzate, altre colorite e liete, altre ancora curiose e grottesche. Rimangono in pochi esemplari: si trovano specialmente nel Museo di S. Martino a Napoli, a Caserta, nel Museo Nazionale di Monaco di Baviera, in alcune chiese. In collezioni private si conservano figure isolate o gruppi, di per sé spesso piccoli capolavori. Oltre ad un certo numero di piccole figure siglate, al Colombo vanno assegnate alcune sculture a manichino a grandezza umana per il presepe della chiesa di S. Maria in Portico di Caserta. Nel 1712 con l’Annunciazione iniziò una fase strettamente “settecentesca” dello scultore che, per ragioni di moda o di committenza, in questo periodo eseguì alcune opere che se non fosse per la firma apposta potrebbero richiamare il nome di Nicola Fumo, in quegli anni all’apice della carriera, confermando l’ipotesi di una concorrenza tra le due botteghe produttrici di figure lignee devozionali e da presepe, tendenti entrambe ad affermare la propria s upremazia nel genere allargandosi a macchia d’olio per i piccoli centri del meridione. L’ultimo periodo di attività dello scultore fu caratterizzato da una stretta aderenza ai modi arcadico – rococò che si andavano sviluppando a Napoli. Colombo fu incessantemente impegnato nella ricerca dell’intimizzazione del mezzo espressivo plastico e di levità cromatiche: un punto di notevole anticipo rispetto alla coeva scultura lignea europea. Di tutta la poliedrica attività di G. Colombo (fu scultore in marmo, legno e stucco) le testimonianze lignee sono tali da farci ripercorrere il suo iter artistico “partendo dalla tradizione lignea policroma barocca per evolversi entro il primo decennio del Settecento a personalissimi risultati di gusto arcadico – rococò” (G. Borrelli, ad vocem G. Colombo, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, 1982). Annamaria Capuano |
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